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Venezuela, la grande fuga dal Socialismo chavista

30 mila venezuelani attraversano ogni giorno il ponte Internazionale Simon Bolivar. Sono trecento metri sul fiume Tachira, che marca il confine tra il Venezuela e la Colombia, tra la fame e la speranza. L’economista Luis Vicente Leon spiega le ragioni della grande crisi, causata dalle politiche socialiste di Chavez e Maduro.

Di MARINELLYS TREMAMUNNO per LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA

30 mila venezuelani attraversano ogni giorno il ponte Internazionale Simon Bolivar. Sono trecento metri sul fiume Tachira, che marca il confine tra il Venezuela e la Colombia, tra la fame e la speranza. La Colombia è soltanto la prima tappa della fuga dei venezuelani, di quelli che scelgono un percorso in pullman che potrebbe arrivare fino all’Argentina. Altri scelgono di buttarsi in mare su gommoni improvvisati per arrivare sulle isole caraibiche e chi può, discendenti dei migranti spagnoli, portoghesi e italiani, ritornano nella terra dei loro antenati. Tra il 2015 e il 2017 il numero di immigrati venezuelani in America Latina è passato da 89 mila a 900 mila persone, che rappresenta un aumento di oltre il 900%, secondo l’Organizzazione Internazionale della Migrazione (OIM).

Ora la crisi venezuelana ha messo in crisi all’intero continente. La stampa regionale riferisce che il direttore dell’ufficio delle migrazioni della Colombia, Christian Krüger, ha confermato l’aumento del numero di venezuelani entrati nel paese, le ultime settimane, del 40%, da 35 mila a 50 mila. Oltre alla Colombia, Perù e Cile, tra gli altri paesi, hanno segnalato un flusso maggiore di migranti venezuelani nei giorni precedenti alle elezioni presidenziali, in programma il prossimo 20 maggio. E secondo i dati pubblicati dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i rifugiati (ACNUR), 24 mila venezuelani avevano chiesto asilo in Brasile al 26 aprile. Infatti, il portavoce dell’OIM, Joel Millman, ha affermato che si tratta di “una delle più importanti crisi migratorie che si sono verificate negli ultimi anni”.

Il Venezuela è diventata la Siria dell’America Latina. In un messaggio diffuso dal segretario generale dell’Organizzazione di Stati Americani (OSA), Luis Almagro, ha affermato che ci sono già 1,6 milioni di venezuelani che vivono fuori dal paese e ha avvertito che la situazione peggiorerà se le elezioni presidenziali del 20 maggio si dovessero tenere e se il “potere dittatoriale” di Nicolas Maduro venisse consolidato. Per capire cosa accade nella Venezuela del Socialismo del XXI Secolo ai tempi di Maduro, abbiamo intervistato l’economista venezuelano Luis Vicente Leon, presidente dell’istituto di sondaggi Datanalisis.

“Il 34% della popolazione venezuelana afferma di voler lasciare il paese”. Ci ha spiegato Luis Vicente Leon e ha aggiunto che “il Venezuela di oggi ha il 7% della popolazione all’estero, da uno a due milioni e mezzo di persone, e nei prossimi 3 anni ne potranno andare via altri due o due e mezzo in più. Per cui potremmo contare tra i 5 e i 6 milioni di venezuelani all’estero, fondamentalmente perché non sentono che il paese offra qualità della vita e modernità”.  

Ma perché scappano in massa i venezuelani?
“Le ragioni sono molte, la crisi ovviamente, vale a dire, quindi, la crisi economica sta spaventando le popolazioni alla base della piramide sociale. Persone che non hanno niente e salgono in autobus verso sud e restano dove capita, forse alla ricerca di un cugino a Lima o di un fratello in Ecuador. Ma abbiamo anche l’emigrazione delle risorse, delle persone che vogliono proteggere i loro beni perché sentono di essere a rischio; abbiamo anche l’emigrazione di professionisti che credono che il paese sia arretrato… ”.

Come può descrivere la situazione attuale del Venezuela?
“Stiamo vivendo la peggiore crisi che ricordiamo in campo economico: la più alta inflazione del mondo, la polverizzazione del reddito della popolazione, la brutale uscita degli investimenti, la popolazione cerca di andarsene per salvare la propria vita. E la ragione fondamentale è il modello di controllo e interventismo estremo dello Stato, che si evidenza nel controllo del cambio della valuta, nel controllo dei prezzi, l’assoluta distruzione della capacità produttiva del Paese. È un governo che ha anche ridotto i diritti democratici e impedisce che la popolazione possa esprimersi per cercare un cambiamento, che possa abbracciare un diverso modello di sviluppo”.

Arrivano testimonianze da brividi, ad esempio nonni con pensioni di fame che possono comprare solo 3 pacchi di zucchero o una confezione di uova al mese. Il presidente Nicolas Maduro ha aumentato lo stipendio minimo nove volte dall’anno 2017. Con tutto ciò, oggi il venezuelano sopravvive con meno di 3€ al mese. E, come se non bastasse, i prezzi si alzano in continuazione, anche il doppio o il triplo di un giorno all’altro. Cosa sta succedendo in Venezuela?
«Siamo in Iperinflazione, che significa un effetto esponenziale di prezzi elevati su prezzi elevati. Un fenomeno che, tra l’altro, si pensava fosse già sradicato nel mondo, il Venezuela lo soffre in pieno. Abbiamo un’inflazione superiore al 60% al mese, in questo momento potrei prevedere che supererà il 20.000% alla fine di questo anno, quindi l’anno 2018 sarà molto brutto. Forse la buona notizia è che nei 52 casi di iperinflazione che si sono verificati storicamente, nessuno è durato in eterno. Questa situazione non è sostenibile nel tempo e tutti sono stati risolti nello stesso modo, con l’apertura economica”.

Ne deriva una domanda: si potrà esserci apertura e ricostruzione con lo stesso governo che ha portato il Venezuela alla peggiore crisi della sua storia?
Sicuramente non sarà possibile! Intanto il delfino di Ugo Chávez va avanti con la sua rielezione forzata, voluta per domenica 20 maggio. Inoltre, dal 4 giugno è prevista l’entrata in circolazione del nuovo conio monetario che prevede tre zeri in meno. L’ennesimo tentativo di arginare il collasso che appare inevitabile: chi può fugge dal Paese, a rischio della propria vita, e tanti altri invece tentano di sopravvivere in tutti i modi, pure rovistando nella spazzatura.

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