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Putin sostiene Maduro. I motivi di una strana alleanza

Da una parte, gli Usa sono alla testa della coalizione internazionale che ha riconosciuto Juan Guaidò, come presidente “ad interim”. Dall’altra, la Russia sostiene il dittatore Nicolas Maduro, anche con armi e militari inviati negli ultimi giorni. Gli interessi della Russia nel Venezuela sono multi-miliardari: crediti, armi e risorse da sfruttare.

Di MARINELLYS TREMAMUNNO per LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA

Da una parte, gli Stati Uniti sono alla testa della coalizione internazionale di più di 50 paesi che hanno riconosciuto il presidente del Parlamento venezuelano, Juan Guaidò, come presidente “ad interim” della nazione sudamericana. Dall’altra, la Russia sostiene il dittatore Nicolas Maduro, non solo con finanziamenti miliardari, ma anche con una massiccia presenza militare. Infatti, domenica 24 marzo la stampa locale ha informato dell’arrivo a Caracas di due aerei russi con 100 militari e 35 tonnellate di equipaggiamento non identificato.

E come se non bastasse, il Cremlino sfida pubblicamente Washington e con le sue armi in terra venezuelana chiede dialogo all’opposizione. «Raccomandiamo a Washington di smettere di minacciare il Venezuela, di soffocare la sua economia e di spingerla verso una guerra civile violando apertamente la legge internazionale”, ha avvertito sabato scorso la portavoce della diplomazia russa, Maria Zajarova, attraverso una dichiarazione ufficiale in cui giustifica la presenza militare russa sulla base degli accordi bilaterali firmati in passato tra le due nazioni. “Chiediamo a tutte le forze politiche venezuelane di mettere gli interessi della loro patria al di sopra delle loro ambizioni, per dialogare”, ha aggiunto.

Ma chi minaccia la sovranità del Venezuela? Lo scorso martedì 26 marzo, la maggioranza di opposizione dell’Assemblea Nazionale ha respinto la presenza di militari russi in Venezuela con una mozione, qualificandola come “un’ingerenza alla sovranità nazionale che viola apertamente la Costituzione”. Infatti, all’articolo 187, comma 11, viene stabilito che corrisponde all’Assemblea Nazionale “autorizzare l’uso di missioni militari venezuelane all’estero o straniere nel paese” e il Parlamento venezuelano non ha autorizzato la presenza russa in Venezuela. Forse il dittatore “non si fida delle proprie forze armate e deve portarle dall’estero”, ha affermato il presidente Juan Guidò nel suo discorso al potere legislativo, ricordando che (dal 23 febbraio) circa un migliaio di soldati venezuelani hanno abbandonato le truppe per scappare in territorio colombiano.

Sulla stessa falsariga, l’Organizzazione di Stati Americani (OSA) ha allertato che i russi minacciano “la sicurezza globale”. “È inammissibile che un governo straniero abbia programmi di cooperazione militare con un regime usurpatore che è stato dichiarato illegittimo da risoluzioni e leggi interamericane, perché minaccia la pace e la sicurezza globale”, si legge nel comunicato. Secondo l’OSA, questa manovra rappresenta “uno strumento di intimidazione repressiva” nel contesto della “transizione democratica” guidata dal capo dell’Assemblea Nazionale, Juan Guaidò, che si è proclamato presidente ad interim del Venezuela lo scorso 23 gennaio, dopo la scadenza del mandato di Nicolas Maduro e seguendo quanto stabilito nella Costituzione venezuelana.

Invece, la falsa morale di Mosca tenta di nascondere i suoi veri interessi economici. La Russia è il secondo partner commerciale e il creditore più importante del Venezuela, dopo la Cina. Le cifre non sono trasparenti, ma secondo diverse indagini, il governo russo e il colosso petrolifero Rosneft hanno investito nel Paese sudamericano almeno 17 miliardi di dollari (quasi 15 miliardi di euro) dal 2006. Il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov, si è rifiutato di fornire una cifra specifica alla BBC lo scorso gennaio, quando gli fu chiesto se la Russia temesse di poter perdere quell’investimento. “Non risponderò a questo”, ha detto Peskov. Evidentemente la Russia avrebbe gravi problemi per recuperare il suo investimento, se cade il regime.

Il Venezuela è uno dei mercati di armi più importanti per la Russia. Prima con Hugo Chavez e dopo con Nicolas Maduro, tra il 2005 e il 2013, Caracas ha firmato almeno 30 contratti di difesa militare, per un valore di 11 miliardi di dollari, secondo l’agenzia russa Tass. E basta guardare la stampa venezuelana per trovare elementi chiave da non sottovalutare: nel 2006, il Venezuela ha comprato 24 aerei da caccia russi di ultima generazione Sukhoi Su-30MK2, numerosi fucili d’assalto (AK-103) per rimpiazzare gli antiquati fucili belgi FN FAL. Si stima che nel 2019 il territorio venezuelano ospiterà l’unica fabbrica al mondo di fucili kalashnikov al di fuori della Russia. Inoltre, le foto satellitare di ISI hanno confermato che dallo scorso febbraio c’è un movimento inusuale del S-300 in territorio venezuelano (un sistema anti-aereo russo a lungo raggio, comprato ai tempi di Chavez); e il regime ha annunciato l’istallazione del sistema di navigazione satellitare russo Glonass, che sarebbe l’equivalente del GPS americano, per determinare la posizione e la velocità dei mezzi di trasporto marittimo, aereo o terrestre attraverso 31 satelliti situati in 3 piani orbitali.

E le risorse del sottosuolo venezuelano sono quelle più ambite da Mosca.Secondo la testata pro-regime Telesur, Venezuela e Russia hanno firmato più di 260 accordi di cooperazione: “La Russia e il Venezuela hanno già parecchie joint ventures nella ‘Faja Petrolifera del Orinoco’, territorio che possiede le più grandi riserve di idrocarburi certificate al mondo. Alcune sono: Petro Monagas, Petro Miranda, Petro Victoria, Petro Perijá e Boquerón”. Oltre a ciò, Putin è riuscito a negoziare la sua partecipazione all’ “Arco Minero”, un’area di 114.000 chilometri quadrati, situata a sud-est dello stato di Bolivar, dove si stima ci siano 7.000 tonnellate di riserve di oro, rame, diamante, coltan, ferro, bauxite e altri minerali. Accordi che sono stati firmati unilateralmente da Nicolas Maduro, valendosi di decreti e senza l’autorizzazione del potere legislativo. Di conseguenza, una volta che sarà caduto il regime, i russi non potranno più saccheggiare le ricchezze venezuelane.

Intanto, i venezuelani e gli italiani in Venezuela sopravvivono tra blackout elettrici, iperinflazione, carestia, mancanza di medicine e di acqua. “Se fai la scorta alimentare quando c’è elettricità, poi sei costretto a consumarla in due tre giorni se non vuoi buttarla. Oltre al costo enorme che ciò comporta e anche la pessima qualità di quello che trovi. Pensa alla carne che nelle macellerie si sta putrefacendo e poi, quando arriva la luce, la devi comprare a un costo astronomico… Mi preoccupa il rifornimento di alimenti e bevande. Qui non arriva l’acqua da dicembre, non si trovano autocisterne. Insomma, si sta facendo dura la sopravvivenza. Saluti dal nuovo ghetto di Varsavia 2019!”, ha scritto Umberto Calabrese, giornalista italiano a Caracas.

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