Carlo Acutis, il segreto della santità
Nel Concistoro del 1° luglio, papa Francesco ha annunciato che il quindicenne sarà proclamato santo. Probabilmente durante il Giubileo del 2025. Intervista esclusiva a monsignor Alberto Royo Mejía, Promotore della Fede del Dicastero delle Cause dei Santi.
MARINELLYS TREMAMUNNO/ MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO
A fine maggio, papa Francesco ha approvato il decreto che riconosce il secondo miracolo necessario per la canonizzazione del beato Carlo Acutis, noto per la sua semplicità, simpatia e per la profonda fede in Cristo. Acutis sarà il primo santo «millennial», come vengono chiamate le persone nate tra l’inizio degli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta del secolo scorso. Nato nel 1991, Carlo era un adolescente con una vita normale, ma si distingueva per la sua grande testimonianza di fede e di carità, e per la sua abilità nell’uso dell’informatica per l’evangelizzazione. Nel 2006, una leucemia fulminante se lo portò via in soli tre giorni. Carlo aveva appena 15 anni, ma la sua storia si diffuse immediatamente in tutto il mondo. Beatificato nel 2020, ora riposa nel Santuario della Spogliazione ad Assisi, luogo che ricorda il momento in cui san Francesco si liberò di tutte le sue vesti, proclamando che Dio, da quel momento, era il suo vero Padre. E Carlo Acutis ha fatto proprio questo: «Attraverso l’Eucaristia, ha scoperto quella dimensione affettiva verso Cristo che sarebbe diventata una delle caratteristiche principali della sua spiritualità. Stare davanti a quella lampada accesa al Santuario di Assisi, significava per lui entrare nel mistero del Cuore di Dio, trovare forza per tutto ciò che faceva, crescere nella sua amicizia con Gesù, e imparare a sentire e a pensare come Gesù avrebbe fatto al suo posto». Ad affermarlo è monsignor Alberto Royo Mejía, Promotore della Fede del Dicastero delle Cause dei Santi. Ordinato sacerdote nel 1989, monsignor Royo Mejía è dottore in Diritto canonico e sacerdote della diocesi spagnola di Getafe (Madrid) dove è stato vicario giudiziale e delegato episcopale per le Cause dei Santi. È anche specialista di storia della Chiesa e autore di vari libri, tra cui spicca Santi per le strade di New York: uomini e donne che cambiarono il volto di una città.
Msa. Da un comunicato della Conferenza episcopale del Costa Rica, si è saputo che la ventunenne Valeria Valverde è la giovane guarita da un gravissimo trauma cranico per intercessione di Carlo Acutis. Potrebbe parlarci di questo secondo miracolo?
Royo Mejía. Valeria studiava a Firenze. Mentre era in bicicletta ha subito un incidente che le ha provocato una grave lesione al cranio, riducendola in fin di vita. Sua madre Liliana, devota di Carlo Acutis, ha viaggiato fino ad Assisi per pregare sulla sua tomba e chiedere la guarigione di sua figlia. E, in modo inspiegabile, le condizioni di Valeria hanno iniziato a migliorare quello stesso giorno.
Cosa distingue questo miracolo da altri?
Ogni miracolo è unico. Ciascuno è un mondo a sé. Questo ha, da un lato, la semplicità della storia: è un caso grave che si risolve in modo rapidissimo, senza una spiegazione medica. E poi c’è la devozione della madre che si rivolge a Carlo Acutis senza dirlo a molta gente, ma nel suo cuore è certa che lui l’aiuterà; e poi c’è anche la rapidità della risposta.
Come si svolge il processo di verifica di un miracolo da parte della Chiesa?
Il processo inizia a partire dai medici che hanno seguito il caso clinico, e che devono riconoscere la guarigione come un fatto inspiegabile. Poi si consulta un altro gruppo di medici esperti e, se confermano che quella guarigione non ha una spiegazione, si avvia un processo nella diocesi dove è avvenuta la guarigione stessa. In questo caso è stato fatto nella diocesi di Firenze, dove sono state intervistate tutte le persone coinvolte nel miracolo, e anche la ragazza che ha avuto l’incidente. Successivamente, a Roma, un gruppo di sette medici valuta il caso. Se anche loro lo considerano inspiegabile, passa a una commissione di teologi che esamina la chiarezza dei dati medici e l’invocazione del beato. In questo miracolo, tutti questi passaggi sono stati superati rapidamente e in modo unanime, grazie alla chiarezza della vicenda.
Lei come ha vissuto questo processo?
Il caso di Carlo Acutis è straordinario per la sua semplicità, e la rapidità con cui questo quindicenne ha acquisito fama di santità. Sua madre è stata molto attiva nel promuovere la sua figura, ma la sua fama è cresciuta spontaneamente: per esempio, la sua storia è stata riportata da media importanti come «The New York Times» o l’emittente araba «Al Jazeera». Tuttavia mi dispiace che a volte si mettano in evidenza cose superficiali e persino errate, come per esempio quando Carlo viene chiamato l’«influencer di Dio». Lui non aveva nessun interesse a essere «influencer». È vero che amava i computer, ma per essere «influencer» non serve avere cervello mentre Carlo Acutis andava molto oltre. Ho letto che gli piaceva fare sport e giocare a calcio, ma non è vero! Durante il processo di canonizzazione è emerso che non gli piaceva per niente il calcio. Un’altra cosa: lo presentano nella tomba con una felpa e con scarpe sportive, quando invece non indossava mai felpe perché vestiva molto elegante. Nel processo di canonizzazione si dice che usava sempre mocassini, e per questo i suoi compagni lo chiamavano «Mr. Mocassini». Invece lo hanno posto nella tomba con le scarpe sportive per farlo sembrare un giovane moderno, e questa è una superficialità. Sono pochi quelli che arrivano alla profondità di questo ragazzo, al quale la grazia di Dio, nell’Eucaristia, ha trasformato la vita.
Quali sono le chiavi di lettura giuste per capire la santità di Carlo Acutis?
Carlo era un giovane come tanti, nella sua vita quotidiana, ma possiamo affermare che ciò che non è normale è che un giovane della sua età viva con tanta pienezza la sua vocazione cristiana poiché questa si acquisisce con gli anni. Ciò è evidente quando si leggono le testimonianze raccolte: Carlo apparteneva a una famiglia benestante e aveva un accompagnatore d’origine indù, Rajesh Mohur, che lo portava a scuola. Mohur ha raccontato come Carlo si fermasse a parlare con tutti i poveri e gli immigrati che incontrava per strada. Non solo si fermava, ma si preoccupava per loro. Addirittura, Mohur ha deciso di diventare cristiano, ispirato dall’esempio che Carlo gli dava. Numerosi compagni di scuola raccontano come Carlo li aiutasse negli studi quando attraversavano difficoltà personali. Carlo non li lasciava soli e restava a studiare con loro, mostrando sempre il suo sostegno incondizionato. Tutti parlano di un ragazzo normale che viveva le cose in un modo non normale. Quindi, l’invito è quello di approfondire il perché.
Guardando a Carlo Acutis, oggi come può essere vissuta la santità?
Siamo tutti chiamati alla santità e quindi alla pienezza, e vivere la pienezza cristiana non dovrebbe essere qualcosa di strano. I tempi cambiano, così come cambiano gli stili di vita e i modi di vivere la santità. Anticamente si pensava che questo fosse possibile attraverso grandi rinunce, grandi penitenze e sacrifici. In Carlo Acutis, invece, c’è la testimonianza di poter arrivare a vivere la pienezza della vita cristiana, semplicemente seguendo nostro Signore Gesù Cristo nella sua Chiesa, sapendo che è presente nell’Eucaristia, nei poveri e nei bisognosi, e che Maria, nostra madre, ci guida lungo il cammino di questa vita.
Che messaggio vuole dare papa Francesco con la canonizzazione di Carlo Acutis?
Credo che il Papa voglia trasmettere un messaggio sulla grande speranza che si ripone nella gioventù. Spesso si criticano i giovani oppure i giovani stessi vengono sfruttati per vendere prodotti e ideologie. Con Carlo Acutis, il Papa vuole mettere in risalto come i giovani possano trasformare in un posto migliore questa nostra casa comune che è la Terra.