«Il servizio non è mai ideologico, non serve idee, ma persone». È stata la frase più ricordata del passaggio di Jorge Mario Bergoglio in terra cubana. Parole che sicuramente sono arrivate come un fulmine proprio nella piazza simbolo della “rivoluzione”, che per oltre 50 anni ha oppresso i cubani, costringendoli a inginocchiarsi al servizio delle ideologie. Un regime icona per tanti altri presidenti latinoamericani, come l’ex presidente del Venezuela Hugo Chavez; un altro leader di una “rivoluzione” incompiuta, segnata dal populismo e dalle ideologie che non servono le persone ma le usano.
di MARINELLYS TREMAMUNNO per LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
Ma abbiamo visto anche un Papa molto attento a non parlare direttamente di politica. Il direttore della Sala Stampa vaticana, padre Federico Lombardi, ha sottolineato che il Pontefice desidera promuovere il dialogo e la riconciliazione; secondo Lombardi il Papa preferisce parlare di un «processo», quindi di un qualcosa che deve continuare. Certamente la Chiesa di Bergoglio prova a promuovere il perdono e la misericordia come percorso verso il dialogo e la riconciliazione del paese, ma una domanda sorge inevitabile: è possibile dialogare con un dittatore?
Forse a Cuba, più dell’intervento di Papa Francesco, serve un miracolo. Mentre Papa Francesco stringe la mano a Fidel Castro durante l’incontro privato, la dissidenza cubana viene nuovamente oppressa. Berta Soler, leader del movimento di opposizione “le signore in bianco”, ha raccontato alla testata spagnola “El Pais” come le forze dell’ordine abbiano impedito l’avvicinamento al pontefice delle voci della dissidenza cubana: “La sicurezza dello Stato ha arrestato, oltre a me, anche altre persone, più di 25, per evitare che fossero ascoltate le nostre proposte. Io sono stata fermata due volte, sabato pomeriggio per evitare che mi recassi presso la Nunziatura Apostolica – residenza del Papa durante il suo soggiorno all’Avana – e domenica mattina per evitare che fossi a messa”. La catena di tv Univision è riuscita a mettere sul web i video degli arresti, successivamente bloccati dal regime.
Un viaggio apostolico che, sebbene volesse lasciare un messaggio di speranza, ha lasciato anche delusioni. Per i dissidenti cubani, che ancora attendono una vera transizione dell’isola verso un governo democratico, plurale, nel quale ci siano garanzie dei diritti umani e della libertà di parola. Per la chiesa cubana, che ha vissuto mezzo secolo di ateismo di Stato: l’80% della popolazione si definisce credente, i cattolici sono quasi sette milioni, ovvero il 60% della popolazione, e i praticanti sono circa il 20%. Infine per gli esuli, che sono andati via scappando dall’oppressione del regime castrista e vedono di cattivo occhio la stretta di mano tra Bergoglio e Fidel, come segno della legittimazione di un governo autoritario e dittatoriale.
Ma non solo, anche il Venezuela ha bisogno di un miracolo. Durante la presenza del pontefice a Cuba, è emerso anche l’argomento Venezuela. Il Segretario di Stato del Vaticano, il cardinale Pietro Parolin, ha lanciato un appello per il Venezuela durante l’incontro con il vicepresidente cubano Miguel Diaz-Canel, sottolineando la necessità di dialogo per la riconciliazione e la pace tra i venezuelani. L’informazione è stata confermata dal portavoce della Santa Sede, padre Lombardi, che ha spiegato che la riunione si è tenuta parallelamente all’incontro di Francesco con Fidel Castro.
Ma perché si è parlato del Venezuela a Cuba? “Il Venezuela dipende politicamente da Cuba, cosa che ci rende quasi una loro colonia. Se Cuba si sta aprendo al mondo, il Venezuela invece si sta chiudendo ancora di più”. Lo aveva segnalato Pablo Medina, ex senatore e leader della dissidenza venezuelana, durante un incontro privato con il cardinale Parolin in Vaticano lo scorso 9 settembre, incontro che ha preceduto il viaggio apostolico a Cuba. “Gli ho raccontato la tragedia che stiamo vivendo e il cardinale si è mostrato molto comprensivo, ma anche molto informato sull’attuale situazione venezuelana. La Santa Sede mi ha fatto sentire accolto, manifestandomi una profonda preoccupazione, ma anche la ferma volontà di collaborare per ritrovare la pace e la stabilità di cui abbiamo bisogno. Con il cardinale abbiamo affrontato molti temi importantissimi, come le violazioni dei diritti umani nel mio paese e la condizione dei perseguitati politici”. Medina ha sottolineato che “il Venezuela è la Siria dell’America Latina: in questi ultimi 15 anni sono andati via quasi 2 milioni di venezuelani, in fuga dalla crisi, fenomeno che rappresenta l’esodo più grande della storia di questo paese. Pur non essendo in guerra ufficialmente, ad oggi il Venezuela conta 260mila cristiani cattolici uccisi per mano della criminalità organizzata che riceve armi dallo Stato”.
Ben venga il contributo di Papa Francesco per la riconciliazione dei popoli latinoamericani, ma abbiamo anche urgente bisogno di non continuare a mascherare la realtà. Padre Alberto Cuité, sacerdote anglicano, un cubano residente a Miami, evidenzia che esistono domande ancora senza risposta da parte del Papa argentino: “Come mai si condanna il capitalismo, con tutte le sue conseguenze, ma non si condanna il comunismo ateo che ancora fa tanto male al mondo? Perché sono ignorati i poveri, che vengono arrestati perché chiedono il rispetto dei loro diritti umani? È più importante mantenere relazioni diplomatiche con un paese che non ha elezioni libere da più di 50 anni, con una ben nota storia di oppressione anche contro la Chiesa stessa?”. Tanti venezuelani si pongono le stesse domande.