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I venezuelani di Roma lanciano il loro «Sos»

DI ANNA MADIA / LA STAMPA

Che il governo italiano si pronunci sulla violenta repressione messa in atto dal presidente Nicolas Maduro, che dica la sua come ha fatto l’Unione Europea. Questo chiedono i venezuelani che vivono a Roma.

Sono circa cinquecento, su mille che abitano in Lazio, e su quasi 6 mila nell’intera penisola. Difficile, però, contarli in modo più preciso, perché spesso hanno doppia cittadinanza: sono figli e nipoti di emigranti italiani che in Sudamerica si erano trasferiti qualche decennio fa, per cercare fortuna.

Loro, le generazioni successive, raccolgono da lontano le notizie che arrivano da Caracase dalle altre città del Paese; degli scontri tra i chavisti, vicini all’attuale presidente Nicolas Maduro, e le forze d’opposizione, riunite soprattutto intornoal partito Voluntad Popular.

Preoccupati, feriti, così li descrive a Voci di Roma la giornalista italo-venezuelana Marinellys Tremamunno. Che dal suo paese di nascita se ne è andata qualche anno fa, quando ha capito che non c’erano prospettive.

Dal governo italiano vorremmo una presa di posizione. Che chiedesse la liberazione dei manifestanti arrestati. Perché la questione venezuelana è anche italiana”, se è vero, come è vero, che circa due milioni di cittadini del Paese hanno origini e passaporto come i nostri. E che molti altri, pur non avendo cittadinanza italiana, hanno qualche radice nello stivale.

“La violazione dei diritti fondamentali non può passare sotto silenzio”, continua la giornalista. Anche perché, puntualizza, potrebbero esserci grandi ondate di emigrazione, che interesserebbero anche l’Italia.

La comunità venezuelana di Roma aveva già fatto sentire la propria voce nelle ultime settimane. Prima con una manifestazione in Piazza della Rotonda, davanti al Pantheon dove una scritta “fatta dibraccia e gambe” lanciava il suo SOS ai passanti. Un modo per sensibilizzare l’opinione pubblica, per denunciare le “gravi violazioni dei diritti umani perpetrate a danno dipacifici studenti e cittadini”.E come a Roma, così in varie altre città: immigrati riuniti con lo slogan “SOSVenezuela”.

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Poi, in occasione dell’Angelus, un lenzuolo colorato era stato steso in Piazza San Pietro. Giallo, blu e rosso, come i coloridella bandiera del Venezuela. Ma al posto delle stelle bianche, tante quanti sono gli stati federati, c’erano stelle nere, listate a lutto. Lì, i presenti avevano chiesto a PapaFrancesco di intervenire per frenare la violenza che sta piegando in due il Paese.

Di quella violenza, però, dei proiettili, degli arresti e delle morti i venezuelani nel mondovengono a sapere a fatica. I canali televisivi vicini all’opposizione, infatti, non hanno più modo di lavorare“E non perché ci sia un controllo diretto del governo, spiega Marinellys Tremamunno, che è anche tra gli organizzatori dell’SOS Venezuela di Roma.

“Ma perché viene applicata una legge, detta di responsabilità sociale, che punisce le tv e le radio che trasmettono immagini di violenza”. Una legge che dovrebbe proteggere i bambini che guardano la televisione, ma che viene di fatto  sfruttata per imbavagliare la stampa.

Tra le censure, c’è quella alla rete colombiana NTN24, che aveva documentato via via i fatti, a cominciare dalla prima morte in piazza. Le è stato tolto il segnale, non ha più potuto trasmettere. E visto che in un primo momento ha continuato a farlo tramite il proprio canale Youtube, è stata bloccata anche nelweb. Non se la passano meglio i giornali: l’importazione della carta è stata sospesa.

Così, la sola strada per informare e informarsi, anche dall’Italia, è rimasta quella dei social networkUltima spiaggia per raccontare i gas lacrimogeni, l’uso della forza da parte della polizia, i paramilitari che sparano a bordo di motociclette, gli arresti. Il governo di Maduro, però, ha capito cosa stava succedendo. E dopo che decine e decine di foto e video erano stati pubblicati e diffusi in tutto il mondo, ha bandito le immagini su TwitterUna sospensione di alcune ore. Sufficiente, però, a far capire che la situazione stava sfuggendo di mano. Mentre le autorità venezuelane negavano di avere a che fare con il blocco al social, alcuni hacktivisti rispondevano attaccando siti web governativi. Ci ha pensato poi Nu Wexler, portavoce di Twitter, a confermare il ruolo di Maduro nella vicenda. E tanti sospettano che anche le connessioni zoppicanti dei giorni scorsi si debbano a scelte dell’esecutivo.

Il sindacato deigiornalisti, SNTP, ha denunciato una situazione intollerabile: 62 professionisti vittime di repressione da parte delle forze dell’ordine per quanto filmato, detto o scritto nelle ultime settimane. Una di questi è l’italiana Francesca Commissari, fermata (e poi rilasciata) perché aveva in mano la sua macchina fotografica.

Ma accanto alla crisi politica c’è una crisi economica devastante. E paradossale, perché la fame, vera, che sta colpendo le famiglie tocca a un paese ricchissimo di petrolio. Ma che si sgretola giorno dopo giorno. Le attività imprenditoriali quasi non esistono più. E, se esistono, se le mangia l’inflazione, galoppata alla soglia record del 56%. Il divario tra prezzo del dollaro nel mercato regolare e nel mercato nero, poi, è diventato di1 a 10. E nei supermercati di un paese che deve importare quasi tutto per reggersi in piedi, non è rimasto nemmeno il latte.

Ma alla domanda sei loro genitori pensano di andarsene, di raggiungere i figli lontani, i venezuelani di Roma rispondono di no.“I padri, le madri” aggiunge Marinellys Tremamunno“vedono ancora nel Venezuela la terra che li ha accolti tanti anni fa”Sono i ragazzi, invece, a partire, e sempre più spesso. Tanti negli Stati Uniti, considerati da Maduro il vero artefice dell’instabilità. Altri in Europa, Spagna in testa. Lo conferma un recente studio dell’Universidad Catolica di Caracas, che ha contato 143 mila partenze fra 2005 e 2010.

Numeri alti. E potrebbero esserlo anche di più: perché molti di coloro che sispostano sono anche, a tutti gli effetti, cittadini del paese d’arrivo; ed è possibile, quindi, che non compaiano nelle statistiche.

Fra le mete c’è anche l’Italia. E, del resto, il legame con il nostro Paese è forte da sempre. Negli anni ’30, vivevano in Venezuela 5 mila italiani. Subito dopo la Seconda Guerra Mondiale, il boom: vi si trasferirono altre 250 milapersone. Ne uscì una piccola Italia, che era all’epoca la comunità straniera più grande del Paese sudamericano. Molti emigranti ottennero la nuova cittadinanza, tanti figli nacquero lì.Venezuelani, sì, ma anche italiani.

Oggi, però, il flusso è inverso, complice soprattutto la crisi economica. Dal Venezuela si parte, non ci si va. Perché non c’è futuro, come dicono i ragazzi e le ragazze che a malincuore hanno fatto le valigie. E che spesso sono laureati, professionisti: i “cervelli”del Paese.

Gli ultimi giorni,quelli dell’SOS e delle manifestazioni, sembrano l’inevitabile punto d’arrivo di una situazione irrisolta che si era aggravata via via. Duro, qui a Roma, il giudizio della piazza nei confronti di Nicolas Maduro. E non solo per la repressione di quel movimento di protesta che, partendo dalle università, scuote un paese intero. Non solo perché “si spara a uomini disarmati come fossero nemici di guerra”. Ma per la gestione della cosa pubblica, per la corruzione e la criminalità alle stelle (24 mila morti a causa della criminalità nel solo 2013), per le mancate risposte alla minaccia quotidiana dei sequestri.

Cosa ne sarà del Venezuela, adesso, non lo sanno neanche loro, i venezuelani. Qui, da Roma, non possono che stare a guardare quel che gli amici diffondono via web. Non possono che chiedere all’Italia di non girarsi dall’altra parte. E poi cucire una bandiera di dieci metri, stenderla a terra, e dire che ci sono.

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