«Dobbiamo evitare il sincretismo presente nel rituale tenuto nei Giardini Vaticani attorno a un immenso lenzuolo, gestito da una donna amazzonica davanti a immagini sconosciute e ambigue». Il venezuelano Jorge Savino Urosa è il primo cardinale che si espone contro i riti tribali del 4 ottobre in Vaticano e lo fa con un’intervista esclusiva alla Nuova Bussola. In cui apre a un possibile rito amazzonico «ma senza sincretismi indebiti e pagani», poiché la liturgia «deve rispettare la natura sacra dell’Eucaristia». E per rivitalizzare il cattolicesimo in Amazzonia e nel mondo, spiega che c’è un’unica via: «Serve seguire la missione fondamentale della Chiesa: annunciare Gesù Cristo!».
MARINELLYS TREMAMUNNO / LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
“È possibile il rito amazzonico ma senza sincretismi indebiti e pagani”, dice chiaramente il cardinale Jorge Urosa Savino nel corso di un’intervista esclusiva per la Nuova Bussola. Dopo due settimane di Sinodo sull’Amazzonia e mentre il documento finale è in fase di elaborazione per essere sottoposto all’Assemblea, il prossimo 26 ottobre, abbiamo voluto conoscere la visione del porporato più anziano del Venezuela, uno dei nove Paesi della regione amazzonica.
La proposta del “rito amazzonico” era stata lanciata il 18 ottobre dal presidente del Pontificio Consiglio per la Nuova Evangelizzazione, monsignor Rino Fisichella,davantialla platea dei giornalisti riuniti nella sala stampa vaticana, come parte della relazione del Circolo italiano “B”; e questo nonostante le polemiche che nei giorni precedenti aveva suscitato la cerimonia del 4 ottobre con riti tribali, svoltasi nei Giardini Vaticani alla presenza di Papa Francesco.
Però sono incontrovertibili le parole del porporato amazzonico: “Dobbiamo evitare il sincretismo presente nel rituale tenuto nei Giardini Vaticani attorno a un immenso lenzuolo, gestito da una donna amazzonica davanti a immagini sconosciute e ambigue. Ci dispiace che, nonostante le numerose critiche sollevate, nessuno degli organizzatori abbia spiegato di cosa trattava quel rituale”, ha detto l’arcivescovo emerito di Caracas, sottolineando inoltre che le critiche sono partite per la “natura primitiva” della cerimonia e per “l’assenza di preghiere o simboli cattolici”.
Eminenza, lei è il primo cardinale che si espone contro i riti tribali in Vaticano e, tuttavia, vede possibile la creazione di un “rito amazzonico”?
Sì, però si deve focalizzare bene, perché il sincretismo del rito del 4 ottobre deve essere assolutamente evitato. La liturgia o il rito latino romano, in particolare la Santa Eucaristia, offerta solo a Dio, è semplice, sobria, austera, di facile comprensione da parte di coloro che ricevono la giusta iniziazione. Un eventuale rito amazzonico deve rispettare la natura sacra dell’Eucaristia e preservarne gli elementi fondamentali, sebbene possano essere introdotti alcuni altri gesti, ma mai gesti animisti o naturisti, non cattolici.
Oltre al “rito amazzonico”, in questi giorni sono emerse diverse proposte che hanno attirato l’attenzione dell’opinione pubblica, come la creazione del diaconato femminile e i sacerdoti sposati. Ma, secondo lei, cosa serve per la vera rivitalizzazione della Chiesa in Amazzonia?
Serve seguire la missione fondamentale della Chiesa: annunciare Gesù Cristo! Questo punto è stato giustamente evidenziato da uno dei Circoli minori. Sono molto contento che sia stato indicato perché l’evangelizzazione è il centro della missione della Chiesa. Tutte le altre questioni, l’ecologia, il sociale, la cultura, inclusa la pastorale dei ministeri e l’organizzazione nella Chiesa, sono importanti, ma sono secondari.
Infatti, in questa missione evangelizzatrice della Chiesa sembra che nell’Amazzonia i cattolici non abbiano avuto lo stesso successo degli evangelici…
Sì, con tutto il rispetto, dovremmo studiare perché, nonostante il lavoro altruistico, il sacrificio e costanza della presenza pastorale di molti missionari cattolici nell’Amazzonia, le Chiese protestanti sono cresciute. Molte comunità indigene apprezzano il lavoro sociale dei missionari cattolici, ma preferiscono le chiese protestanti. È una realtà! Uno dei Circoli minori l’ha evidenziato. Purtroppo, nell’Instrumentum Laboris non sono state valutate le cause di questa cruda realtà. Dovremmo, quindi, rafforzare l’annuncio di Gesù Cristo tra i nativi. Invitare gli aborigeni a convertirsi e ad essere battezzati, affinché ricevano l’immenso tesoro di essere figli di Dio e membri della Chiesa.
Secondo la sua esperienza, come si deve portare avanti questo lavoro pastorale nel territorio amazzonico?
Si deve evangelizzare in modo aperto ed esplicito! Non solo si deve dialogare e accompagnare, si deve presentare Gesù Cristo come il Salvatore e il Redentore, l’unico amico e fratello, capace di liberarli dalla schiavitù delle forze della natura. Certo, non dobbiamo disprezzare le culture indigene! Ma dobbiamo portare loro la saggezza divina ancestrale rivelata nell’Antico Testamento e dobbiamo presentare loro il dono della nuova vita in Cristo, la luce della Grazia, la speranza della vita eterna. Per cui è necessario che nel documento finale del Sinodo venga promossa un’evangelizzazione aperta tanto in Amazzonia quanto in tutto il mondo, senza complessi e senza paura!