MARINELLYS TREMAMUNNO / INTERVENTO NELLA SOCIETÁ
La missione della brigata medica cubana Henry Reeve, arrivata a Crema e Torino, finalmente si è conclusa. Un evento che è stato venduto dai media italiani come la chiusura di un capitolo di successo della diplomazia medica cubana, che “ha salvato la vita agli italiani” colpiti dalla pandemia Covid-19. Ma, al di là delle manipolazioni ideologiche, la presenza degli inviati del castro-comunismo in Italia ha diversi punti oscuri e presenta più domande che risposte.
In primo luogo, l’aggressiva strategia di propaganda. Una scaletta magistrale: l’arrivo all’aeroporto di Malpensa con la formazione militare dell’ “esercito di camici bianchi”, che mostrava le bandiere dell’ Italia e di Cuba; un bambino italiano, “il piccolo fan” come è stato chiamato dalla stampa compiacente, che appare opportunamente in diversi atti della storia con la bandiera cubana per salutare i cosiddetti dottori salvatori; gli applausi e la cerimonia in piazza per dire addio alla Brigata che, dopo l’ascolto di entrambi gli inni nazionali, mostra la sua abilità ballando salsa; infine la chiusura con una foto del ministro della Difesa Lorenzo Guerini che saluta l’ambasciatore cubano, venduto come il riconoscimento dell’esercito italiano al regime cubano.
In secondo luogo, cosa si sa sull’operato della Brigata Henry Reeve a livello sanitario? Per quanto riguarda Crema, certamente hanno dato un contributo, se non altro perché la loro presenza ha alleggerito il lavoro dei medici italiani in un momento di grande pressione. Ma siamo ben lontani dall’eccellenza sanitaria sbandierata dalla propaganda, malgrado non sia stato possibile avere una risposta ufficiale dai vertici della sanità cremasca. Fonti interne all’ospedale riferiscono infatti che si trattava di personale sia medico che infermieristico, ma certamente non all’altezza dei colleghi italiani, soprattutto per l’uso della tecnologia. Non è certo una sorpresa, visto che l’idea di una sanità cubana all’avanguardia nel mondo è solo frutto di una propaganda ben organizzata. E ovviamente hanno scontato la difficoltà della lingua, oltretutto in un contesto di protocolli particolari. Non per niente, fatta eccezione per cinque anestesisti, sono stati tutti impiegati nell’ospedale da campo, a contatto con i pazienti meno gravi.
Ad ogni modo non si ha l’idea di una presenza così preziosa, tanto è vero che la collaborazione è stata interrotta non appena è stato smantellato l’ospedale da campo a Crema, nonostante i tentativi dell’ambasciata cubana di mantenere i propri sanitari in compiti di “assistenza domiciliare”, con l’obiettivo di farli rimanere sul territorio italiano anche dopo l’emergenza.
Terzo elemento: una parte del personale sanitario cubano è stato impiegato all’interno della Fondazione Benefattori Cremaschi, una delle istituzioni – segnalate per la morte di più di 300 anziani e ora sotto indagine da parte della Procura di Cremona – senza adeguata assistenza medica durante l’emergenza. Lo stesso Crema Online ha anche riferito che i medici cubani lavoravano “al reparto Covid, sia nella struttura di via Kennedy, sia in quella di via Zurla in RSA”; nella prima in particolar modo per l’assistenza ai “degenti Covid, che hanno ancora bisogno di cure prima di essere dimessi, quindi pazienti legati a cure intermedie”. E cosa dice il governo italiano? La risposta è l’omertà. L’interrogazione presentata il 23 aprile dal deputato Galeazzo Bignami (FI), che richiedeva al ministro Di Maio di dimostrare la trasparenza dei compiti affidati dal suo ufficio alla Brigata Henry Reeve e di verificare la qualità professionale dei medici cubani con la collaborazione della Federazione nazionale dei medici Italiani, non ha avuto risposta.
Infine, torniamo alla propaganda del regime: 210 dimissioni di pazienti a Crema e 177 a Torino attraverso l’azione della Brigata, secondo il bilancio ufficiale dell’ambasciata cubana. Un po’ poche per definire i medici cubani “salvatori degli italiani”, visto che sono più di 200mila le persone guarite nel Paese, secondo le statistiche della Protezione civile.
Ma non è tutto oro ciò che luccica, si dice nel mio Paese di origine, il Venezuela. I medici cubani non sono esperti nel combattere contro il coronavirus, né fanno un atto di solidarietà. Secondo serie inchieste giornalistiche internazionali, il regime si fa pagare circa 6.000 dollari mensili per ogni presunto medico: in genere il massimo livello di formazione è quello di tecnico sanitario, con studi di massimo 3 anni (quando in Venezuela la laurea in medicina ha una durata di 6 anni) e lavorano in condizioni di semi-schiavitù, ricevendo appena il 10% del pagamento effettuato dal governo ospitante, ma solo se si ritorna sull’isola.
“Cuba ha ingannato molti paesi per anni, presentando queste missioni come qualcosa di umanitario, quando in realtà sono un grande affare per l’isola. Stiamo parlando di guadagni di 8.000 milioni di dollari all’anno,
molti di più dei 3.000 milioni prodotti dal turismo o dei circa 4.000 milioni che si stima entrino nel Paese con le rimesse”, ha spiegato Javier Larrondo, presidente dell’Ong Cuban Prisoners Defenders.
Da evidenziare che l’Italia aveva bisogno di spendere migliaia di euro per portare da L’Avana 87 persone, quando in territorio italiano ci sono circa 200 di specialisti italo-venezuelani esuli del regime di Nicolas Maduro pronti ad agire. E tutto questo posso affermarlo con molta autorevolezza, perché come presidente dell’Associazione “Venezuela: la piccola Venezia” Onlus ho consegnato il database di questo personale sanitario sia alla regione di Lombardia sia al ministero della Salute, ma hanno preferito l’aiuto castrista, molto utile per inoculare il virus comunista.
Noi venezuelani sappiamo bene come funziona: ai tempi di Hugo Chavez siamo stati invasi da più di 40mila persone (non tutti medici), che avevano una funzione politica, cioè quella di individuare chi era oppositore del governo, indottrinare i pazienti e agire come agenti dell’intelligence per preservare il regime chavista in Venezuela. Per approfondimenti, vi invito a seguire le mie inchieste su www.tremamunno.webmediaworks.net.
RIVISTA INTERVENTO NELLA SOCIETA, EDIZIONE LUGLIO/SETTEMBRE 2020