Messaggero di sant'Antonio

Un tamunangue per il Santo

Tramandata per oltre trecento anni grazie alla devozione antoniana, il tamunangue è la danza popolare venezuelana con la più grande ricchezza coreografica del Paese.

MARINELLYS TREMAMUNNO / MESSAGGERO DI SANT’ANTONIO

Nonostante in vita non abbia potuto portare a termine la sua missione evangelizzatrice in Africa, il giovane Fernando ci è comunque riuscito con i cuori africani, e non solo, in Sudamerica. Il miscuglio di etnie avvenuto in Venezuela ai tempi della colonizzazione spagnola, ha dato luogo alla venerazione di sant’Antonio di Padova da parte degli schiavi africani, attraverso i loro rituali musicali. Così è nato il tamunangue, la danza popolare venezuelana con la più grande ricchezza coreografica del Paese, dichiarata patrimonio culturale del Venezuela nel 2014. E, dopo più di 300 anni di storia, viene tramandata di generazione in generazione grazie alla devozione per il Santo.

La popolazione di El Tocuyo, nel cuore centro-occidentale del Venezuela (nello Stato di Lara), custodisce la radice di questa tradizione storica. A raccontarlo è Naudy Arraíz, esperto cultore di folklore venezuelano: «Tamunangue è il nome per esteso, ma per noi tocuyani si chiama sones dei neri, e si tratta della massima espressione musicale e culturale di El Tocuyo. Tutto ebbe inizio nel 1609 quando fu creata la prima Confraternita di sant’Antonio nell’antico Tempio di San Francesco, dove tutti gli schiavi delle aziende agricole si incontravano per adorare sant’Antonio di Padova. Ecco perché il ritmo africano è l’anima delle nostre processioni, insieme al suono melodico della chitarra rinascimentale, ancora usata in Venezuela sotto il nome di quattro, per via delle quattro corde». Il tamunangue o sones dei neri combina teatro, danza e musica per esprimere il sentimento popolare di amore per sant’Antonio. «Inizialmente questa danza aveva solo tre sones, ma in seguito, con la mescolanza tra africani, indigeni ed europei, è diventata di sette sones, ovvero l’attuale formula usata per ringraziare il Santo per la grazia ricevuta, in qualsiasi giorno dell’anno, ma soprattutto ogni 13 giugno». 

Sant’Antonio è anche la fonte di ispirazione dell’organizzazione benefica «Hijos de Morán», una macchina umana di solidarietà che da El Tocuyo segue lo spirito dell’Opera del Pane dei Poveri, soccorrendo con un ampio spettro di attività i venezuelani che soffrono la crisi umanitaria del Paese: realizzano «pentole solidali» per offrire un pasto ai più bisognosi, recuperano spazi sanitari abbandonati e donano medicine. Inoltre, sono attivi nell’ambito dell’educazione, dello sport e della cultura. In questo contesto, Naudy Arraíz porta avanti, insieme a Sofía Bejarano, un programma di promozione della musica e delle tradizioni popolari che ogni venerdì pomeriggio fa incontrare i volontari di «Hijos de Morán» per suonare a sorpresa la musica della tradizione locale, come il golpe tocuyano, la zaragoza e anche i sones dei neri di sant’Antonio. E così, «oltre a promuovere la solidarietà, mettiamo in evidenza i nostri costumi e tradizioni, sempre supportati da splendidi valori umani e cristiani come l’amore, l’efficienza e il lavoro di squadra – spiega Bejarano –. La solidarietà è parte del Dna tocuyano. Quella solidarietà che distingue il nostro santo patrono sant’Antonio di Padova».

Per ballare i sones dei neri, le donne indossano gonne lunghe e fiorite; gli uomini invece mettono il liquiliqui (tipico costume formale dell’uomo venezuelano), un cappello di pelliccia e scarpe espadrillas di pelle. Tutto ciò davanti alla statua di sant’Antonio. «Si inizia con un Salve, e si finisce con il racconto della storia del Santo. Noi non siamo di Padova, ma conosciamo bene la storia di Fernando», sottolinea Naudy Arraíz. La forza della fede per sant’Antonio è così presente nella terra di El Tocuyo che il tamunangue si rivela anche come una danza di incontro culturale. Cecilia Colaiocco Wefer è cresciuta ascoltando la musica di sua madre Eka Wefer Tamayo, una cantautrice venezuelana di origine tedesca. Mentre suo padre Vincenzo, originario di Civitella Casanova, in Abruzzo, emigrato nel secondo dopoguerra, la incoraggiava a ballare in onore del Santo. «Mio padre non ballava perché era sempre impegnato con il lavoro – conclude Cecilia –. Ha aiutato a costruire la diga di El Tocuyo. Oggi ha 84 anni e vive in Venezuela. Lui ci ha insegnato a voler bene a sant’Antonio perché è sinonimo di gioia e miracoli. È tutto per noi!».

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