È arrivata la morte di Fidel Castro e all’unisono i media italiani hanno glorificato il dittatore, come fosse un eroe da idolatrare. Purtroppo parlare della sinistra latinoamericana in Italia diventa faticoso, di fronte ai miti fasulli che hanno creato, come quello di Fidel Castro e del suo “figliolo” Hugo Chávez, che invece portano con sé una valutazione tante volte ingiusta di un intero continente che da decenni lotta per uscire da dittature e anni di oppressioni.
di MARINELLYS TREMAMUNNO per LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
Una delle certezze incrollabili: Castro è un dittatore. Il regime di Fidel Castro ha lasciato una lunga scia di repressione cruenta e morte. Negli anni ‘60, durante l’inizio della rivoluzione guidata da Fidel Castro, i “rivoluzionari” hanno commesso numerose esecuzioni extragiudiziali per arrivare al potere. Centinaia di uccisioni sono accadute nella prigione di “La Cabaña”, una fortezza sotto la direzione di Ernesto “Che” Guevara, situata ad est della baia dell’Avana. La repressione dei primi anni della rivoluzione ha provocato la fuga di migliaia di cubani.
7.634 morti conteggiati durante i primi 55 anni di “rivoluzione”. L’organizzazione internazionale a difesa dei diritti umani “Cuba Archive” ha presentato un duro rapporto che documenta la carneficina fino a dicembre 2013: 7.101 morti per mano dello Stato Castrista, 322 morti durante azioni dell’opposizione e 211 per motivi politici vari. Peraltro, ci sono 16 prigionieri morti per sciopero della fame, 299 prigionieri morti per mancanza di assistenza medica, 144 suicidi per motivi politici e 964 cubani morti in mare nel tentativo di fuggire dall’isola con imbarcazioni o mezzi di fortuna. Clamoroso il caso della fucilazione di due cubani che il 2 aprile 2003 avevano tentato il sequestro di una nave per scappare dall’isola.
Oggi la storia di Cuba continua a scriversi con il sangue del suo popolo. José Miguel Vivanco, direttore regionale di Human Rights Watch, allerta che non ci sono miglioramenti nel campo dei diritti umani a Cuba da quando il paese ha riaperto la sua ambasciata a Washington DC, il 20 luglio 2015. Durante i primi sei mesi di quest’anno, si sono registrati 6.753 arresti arbitrari che continuano senza sosta, quasi raddoppiando il numero dello scorso anno. Nel 2015 il governo cubano ha disposto 8.616 arresti politici, a fronte dei 2.974 del 2010, secondo dati della Commissione Cubana di Diritti Umani e Riconciliazione Nazionale. Questo è il risultato del disgelo, più terrore e repressione.
Le prigioni del paese sono sovraffollate. Le statistiche del Programma di Sviluppo delle Nazioni Unite (UNDP) indicano che, con 510 persone arrestate ogni 100 mila abitanti, Cuba è il paese con la più alta percentuale di detenuti del Continente. Nel 1959 Cuba aveva 14 prigioni, e oggi la cifra è superiore a duecento. Inoltre, “i prigionieri sono costretti a lavorare 12 ore al giorno e sono puniti se non soddisfano le quote di produzione. Coloro che criticano il governo, che organizzano scioperi della fame o altre forme di protesta, sono imprigionati in isolamento per lunghi periodi di tempo”, secondo il giornale online Notiamerica.com.
Il governo controlla tutta l’informazione, perfino gli SMS. La popolare dissidente cubana Yoani Sanchez ha denunciato che l’operatrice telefonica Cubacel censura i messaggi con le parole “democrazia” o “sciopero della fame”, tra le tante altre presenti in una lunga lista di parole “scomode” al regime. Amnesty International ha osservato che “solo il 25% della popolazione utilizza internet e solo il 5% delle famiglie sono dotate di connessione”. I cubani non hanno accesso al popolare Whatsapp, è frequente il blocco dei siti digitali e il governo promuove le proprie reti social: Ecured (sostituto di Facebook e Wikipedia) e “El Pitazo” (sostituto di Twitter). E come se non bastasse, viene sospeso il servizio cellulare agli oppositori durante momenti critici, come è accaduto durante la visita di Benedetto XVI all’isola (settembre 2012).
“Non solo offriamo agli uomini libertà, ma offriamo anche il pane!”, ha detto il dittatore Fidel Castro (8 maggio 1959). Come questa, ci sono tante frasi idolatrate dagli intellettuali da salotto. L’ennesimo schiaffo per i cubani che dopo 57 anni di socialismo vivono in uno dei paesi più poveri al mondo: una tv costa 16 mesi di lavoro e comprare un pacco di detersivo significa spendere il 20% dello stipendio minimo. E la cosiddetta apertura tra Cuba e Usa porta solo benefici al governo cubano: il portale libremercado.com denuncia che “per ogni dollaro che le imprese straniere con sede nel Paese pagheranno ai lavoratori cubani, lo Stato verserà ai lavoratori 7,5 centesimi. Cioè, il governo cubano tratterrà più del 90% dello stipendio di questi lavoratori, in pratica una situazione reale di schiavitù”.
Qual è il bilancio della rivoluzione cubana? “Disastroso. Fidel ha promesso libertà ai cubani, li ha traditi, facendo il calco del modello sovietico. Ha distrutto uno dei paesi più prosperi dell’America Latina, polverizzando l’apparato produttivo e portando con sé oltre cinquanta anni di terrore. Il 20% della società è finita in esilio. Ha creato una società corale dedicata a lodare pubblicamente il capo e il suo regime. Per la malata sete di protagonismo, ha sacrificato migliaia di soldati cubani in guerriglie promosse per esportare la sua rivoluzione e ha distrutto la democrazia in Venezuela, giocando alla rivoluzione planetaria. Ha lasciato un paese molto peggiore di quello che l’ha ricevuto come un eroe”, ha infine evidenziato Carlos Alberto Montaner, giornalista e professore cubano esule a Madrid.
Caso a parte, anzi clinico, la sinistra italiana radical chic continua a glorificare il dittatore. E insieme a loro tanti altri che si aggiungono al coro per moda o mancanza di informazione. Molto facile parlare di marxismo e leninismo o difendere ideologie fallite, mentre si sorseggia un vino dalla comodità del salotto europeo. “Fidel ha detto che la storia lo assolverà, ma sono sicuro che la storia non lo assolverà”, ha dichiarato il premio Nobel Vargas Llosa, che ha conosciuto da vicino al dittatore.