“Se devo morire perché il mondo capisca che c’è una crisi umanitaria e che bisogna offrire una soluzione democratica al popolo venezuelano, se devo morire per questo lo farò”, ha assicurato il sacerdote Lenin Bastida, parroco della chiesa “Nuestra Señora de la Soledad” della regione Anzoátegui. Bastidas è arrivato a Caracas martedì 29 agosto dopo dieci giorni e 600 chilometri di pellegrinaggio a piedi come “missionario di pace”.
di MARINELLYS TREMAMUNNO per LA NUOVA BUSSOLA QUOTIDIANA
Il «pellegrino della libertà» pretendeva una data immediata del referendum Anti-Maduro, con una veglia presso il Consiglio Nazionale Elettorale (CNE). Però il suo viaggio è stato interrotto da membri della Guardia Nazionale e della Polizia Nazionale Bolivariana, che gli hanno impedito il sit-in. “Fermarmi è un segno che non siamo liberi in Venezuela», ha detto.
Il referendum revocatorio è l’unico strumento democratico che potrebbe calmare le acque in Venezuela. Il referendum deve avvenire quest’anno, in caso contrario una volta revocato il mandato rimarrebbe in carica il vice presidente, nominato dallo stesso Maduro. Questo spiega l’interminabile percorso ad ostacoli che ha affrontato l’opposizione per cercare di attivare la consultazione popolare. Il governo arriva a fare di tutto pur di portare la data del referendum al 2017, mentre i venezuelani devono affrontare una crisi economica e umanitaria che ogni giorno miete vittime.
Oggi i venezuelani scendono in piazza per la “Grande presa di Caracas”, come è stata denominata la manifestazione convocata dall’opposizione. È la risposta alla corsa ad ostacoli a cui è stata costretta la Unità Democratica (MUD, coalizione di partiti di opposizione). “Potrebbe essere l’inizio di una nuova fase della lotta per la libertà del popolo del Venezuela, che non finirà finché non otterremo un cambiamento di governo quest’anno”, ha affermato il deputato Freddy Guevara.
In realtà l’annuncio ha acceso un barlume di speranza, riflesso nei tanti gesti che hanno emulato il sacerdote Bastidas. Nell’account Twitter del governatore della regione Amazonas, Liborio Guarulla (@LiborioGuarulla), è possibile seguire il percorso della grande marcia di più di 1.500 rappresentanti della popolazione indigena che dal 24 agosto si sono mobilitati per raggiungere Caracas, percorrendo 700 chilometri a piedi, nonostante tentativi da parte della Guardia nazionale di bloccarne il passaggio. La deputata supplente e diversamente abile, Marianny Linarez, è partita della regione di Lara, percorrendo 353 km in sedia a rotelle. E una rappresentanza di medici della città di Valencia ha camminato per 168 chilometri fino alla capitale, con i loro camici bianchi e la bandiera del Venezuela in spalla. Tutti loro saranno presenti oggi nella “Grande Presa di Caracas” per chiedere una soluzione democratica alla crisi.
La Conferenza Episcopale Venezuelana (CEV) si è pronunciata a favore della “Grande Presa di Caracas”: «E l’esercizio di un diritto legittimo sancito dalla Costituzione. Pertanto queste manifestazioni, raduni e attività politiche devono essere rispettate e tutelate dagli organi dello Stato», si legge nel comunicato diffuso lunedì 29 agosto.
A poche ore dalla manifestazione indetta dall’opposizione, Maduro colpisce ancora. Il presidente ha attivato ancora una volta il suo braccio repressivo (si veda l’articolo sulla violazione sistematica dei diritti umani in Venezuela). Questa volta contro i membri di Volontà Popolare (VP), il partito fondato dal leader dell’opposizione e prigioniero politico Leopoldo Lopez.
“Negli ultimi tre giorni, l’aggressione contro l’opposizione (VP) è stata sistematica», conferma la giornalista venezuelana, Anna Carolina Maier, sulla rivista digitale «El Estimulo». Sabato scorso sono stati sospesi gli arresti domiciliari dell’ex sindaco di Táchira, Daniel Ceballos, successivamente trasferito al “Carcere 26 luglio”. E ancora, domenica otto funzionari del Servizio di Intelligence Bolivariana (Sebin) hanno fatto irruzione nottetempo nella residenza del deputato Lester Toledo. Lunedì invece è stato arrestato dai funzionari del Sebin Yon Goicoechea, per presunto possesso di esplosivi. Nel momento in cui si scrive questo articolo, sette leader di opposizione con cariche pubbliche eletti dai cittadini hanno sofferto la persecuzione continua del Sebin.
Anche i giornalisti si trovano sotto il mirino della repressione. Martedì 30 agosto il quotidiano “El Nacional” è stato vittima di un attentato. «Le bombe Molotov (o Madurotov) non ci abbattono e meno ancora questi insulti con cui hanno imbrattato la facciata della nostra sede. Al contrario, contribuiscono solo a entusiasmare le grandi masse stanche di soffrire, malate e affamate, che sono disposte a riempire le strade alla ricerca di un destino migliore», recita l’editoriale di ieri del noto quotidiano, simbolo della lotta contro la censura del governo in Venezuela.
Poi è arrivata immancabile la minaccia del governo. Il vice presidente Aristóbulo Istúriz ha annunciato che oggi anche il “chavismo” scenderà in strada. «Mobiliteremo il centro della città (di Caracas) e vedremo come stanno le cose. Ciò che loro (l’opposizione) hanno in mente è un complotto golpista per estromettere Maduro. Prima dovranno passare sui nostri cadaveri, guardatemi bene in faccia, ve lo giuro su mia madre, dovranno ucciderci se vogliono soffocare la nostra rivoluzione!», ha sentenziato. Un discorso bellicoso che è comune dai tempi del “Comandante Eterno” Hugo Chávez.
È chiaro che «la democrazia in Venezuela è dilaniata», aveva già allertato la Conferenza Episcopale Venezuelana nel documento finale della sua più recente riunione ordinaria, lo scorso 12 luglio. Oggi i venezuelani hanno deciso di manifestare pacificamente contro il governo peggiore che hanno avuto nella loro storia repubblicana, che ha ridotto il paese petrolifero famoso per le sue ricchezze alla povertà estrema.
Nonostante le minacce, le persecuzioni, scenderanno in piazza per far valere i propri diritti. Il pellegrinaggio di padre Lenin simboleggia il sentimento di migliaia di venezuelani: 1 milione 200 mila cittadini di Caracas hanno manifestato la loro intenzione di partecipare al corteo contro Maduro, secondo un recente sondaggio condotto dalla società Datincorp.
La resistenza civile è sancita dall’articolo 350 della Costituzione: «Il popolo del Venezuela, fedele alla sua tradizione repubblicana e alla lotta per l’indipendenza, la pace e la libertà, deve rinnegare qualsiasi regime, legislazione o autorità che violi i valori, principi e garanzie democratiche o limiti i diritti umani”. Mentre il mondo tace, il Venezuela si divincola tra la vita e la morte, contro un regime oppressivo che mina la maggior parte dei diritti umani fondamentali. I venezuelani hanno deciso di scendere in piazza, senza ritorno…
«E camminerò con libertà, perché ho cercato i tuoi precetti…» (Salmo 119: 45)